La Lingua Francoprovenzale
Nelle Valli di Lanzo, come in Valle d’Aosta e come nelle vicine valli piemontesi del Soana, dell’Orco, del Sangone e nella Bassa Valle di Susa, da più di mille anni si parla il Francoprovenzale, una lingua neolatina che è diffusa, con molte varianti locali, in una vasta area compresa tra Lione, Ginevra, Susa ed Aosta. Questa regione, ora divisa politicamente tra Francia, Svizzera e Italia, deve la sua impronta linguistica al medioevale regno di Borgogna ed ha costituito per secoli uno stato unitario, il Ducato di Savoia, che aveva la sua capitale a Chambéry.
Il Francoprovenzale, detto anche patois, non è soltanto una lingua minoritaria, come tale tutelata dalla Unione Europea e dalla Repubblica Italiana, ma identifica anche un gruppo etnico con una precisa identità culturale, riconoscibile nella musica e nella danza, nel canto e nella poesia, nell’artigianato, nel ricco patrimonio di riti e di costumi tradizionali, nel modo di lavorare la terra, di costruire le case, di allevare il bestiame, di sfruttare le risorse di un ambiente talvolta ostile.
La cultura francoprovenzale, come quella di altre minoranze alpine è una cultura materiale, fatta soprattutto di cose, profondamente legata al territorio, di solito tramandata oralmente, ma non priva di manifestazioni letterarie.
Treecarving a Balme
Nell’ormai lontano 2005 gli scultori dell’associazione La Foresta di Sherwood di Torino insieme al Comune hanno dato vita ad un progetto di scultura nei boschi che ha saputo ispirare nel tempo tentativi di imitazione in molti luoghi in Italia.
Questo progetto prevede la lavorazione in loco di piante morte per trasformarle in sculture.
Si intende mettere a disposizione della società l’opportunità di poter condividere la lavorazione dei tronchi di alberi morti lungo i preziosi sentieri delle valli di Lanzo e in particolare del comprensorio del Comune di Balme che ha saputo nel tempo fare tesoro di questa opportunità.
Gli scultori prestano gratuitamente la loro creatività e il loro lavoro e il Comune prende in carico le Opere conservandole per il bene comune.
L’obiettivo è quello di creare un “Museo nei Boschi”. Un vero e proprio spazio espositivo dove l’artista selezionato possa interagire liberamente ispirandosi direttamente sul territorio creando con il materiale presente nel contesto naturale un’Opera che viene lasciata in loco per la fruizione di locali, visitatori e villeggianti. È possibile quindi notare Opere differenti e in differente stato di conservazione, dislocate su un territorio vasto che merita di essere visitato e rispettato.
Ogni anno vengono realizzate nuove sculture, aumentando di volta in volta l’offerta al punto che si sta procedendo a mappare e geolocalizzare le opere; nel prossimo periodo infatti sarà possibile accedere ai siti con maggiore facilità e raggiungerli anche da lunghe distanze.
Questo sforzo degli scultori dell’associazione La Foresta di Sherwood di Torino è volto a creare un meccanismo virtuoso che tenda a far considerare il sentiero dove di solito sono individuati i siti di lavorazione, come un luogo di per sé stesso e non come un elemento di passaggio che collega tra loro le mete delle escursioni.
I progetti scientifici
In un momento in cui il cambiamento climatico è al centro dell’attenzione del mondo scientifico il bacino glaciale della Bessanese è da quattro anni un laboratorio a cielo aperto a cura di CNR-IRPI (Centro Nazionale delle Ricerche e Istituto di Ricerca per la Prevenzione Idrogeologica). Qui si studia la variabilità delle condizioni termiche dei diversi materiali in sito (aria, roccia, detrito, suolo, ghiaccio, acqua) per poi analizzare le sulle relazioni fra cambiamenti climatici e processi di instabilità naturale in ambiente alpino di alta quota. Inoltre la presenza di un rock glacier permette, attraverso il suo rilevamento georeferenziato, di studiarne l’evoluzione spazio-temporale al fine di valutarne anche la potenziale risorsa di acqua presente. Infine il monitoraggio dell’evoluzione del ghiacciaio della Bessanese permette di valutare la riduzione della risorsa glaciale nel tempo anche in termini di acqua disponibile per il prossimo futuro. Tutti questi dati scientifici associati ai rilievi del Comitato Glaciologico Italiano che vengono fatti sugli altri ghiacciai delle Valli di Lanzo permettono un’analisi più approfondita e dettagliata rispetto al passato. In questo contesto il bacino della Bessanese è luogo di formazione universitaria e professionale, di divulgazione scientifica “on-site” e nel prossimo futuro vorrebbe diventare motivo di turismo scientifico. In tale contesto è stato studiato il giro dei laghetti glaciali nel Crot del Ciaussinè, un facile percorso ad anello che partendo dal Rifugio Gastaldi in circa un’ora di camminata conduce a toccare svariati punti di notevole interesse per l’osservazione del ritiro dei ghiacciai. Alcune bacheche all’inizio e lungo il percorso agevolano la comprensione dei fenomeni.
Balme ha recentemente siglato un protocollo di intesa con l’Università di Torino – Dipartimento di Management – per ricerche che hanno come oggetto la sostenibilità delle pratiche turistiche in montagna.